Milano – LOUISE NEVELSON – I Collages

| 19 giugno 2016
Nevelson 1

“Atmosfere” plastiche da una grande artista internazionale

“Era un assemblage di opere fatte con avanzi delle ‘cose’ dell’uomo, cassette di Coca-Cola, gambe di tavoli, ritagli di falegnameria, doghe di barili ecc. ecc. Passai una mattinata piena: si parlò di opere, spazi, mostre, viaggi a Milano e un’infinità di argomenti, comprese chiacchiere varie sulla vita…” Con queste parole, all’interno della pubblicazione “Autobiografia di una galleria” (Skira, 2004), si esprimeva Giorgio Marconi, ricordando la mostra di Louise Nevelson ospitata nella sua storica Galleria milanese nel Maggio del 1973, quando l’artista era ancora poco nota al grande pubblico in Europa, ma verso la quale il gallerista era stato particolarmente attratto intuendo le sue potenzialità espressive, tanto da avere desiderato incontrarla di persona due anni prima nel suo studio-abitazione , tramite la Pace Gallery di New York. Iniziava così un’assidua collaborazione che sarebbe durata qualche anno e avrebbe dato vita a diverse mostre, organizzate in Italia e all’estero. Ora, 43 anni dopo, la Fondazione Marconi la ricorda con un’interessantissima esposizione presentando nella sua sede un nucleo di circa 80 opere, tra sculture e collages, datate a partire dal 1955 fino agli ultimi anni Ottanta. Il suo è un linguaggio scultoreo che aderisce immediatamente al muro, mutuando i suoi segni astratti dalla pittura. Monumentalità, monocromia e dislocazione dei piani su una scarsa profondità sono le caratteristiche peculiari dei suoi assemblaggi o “environments”. Agli oggetti di recupero che compongono le sue sculture astratte, l’artista attribuisce una nuova vita “spirituale”, diversa da quella per la quale erano stati creati, sottoponendoli a un rituale preparatorio quasi a volerli decontaminare dal mondo esterno. Protagonista del rinnovamento della scultura nel XX secolo e delle sue trasformazioni, Louise diceva parlando di sé e del suo lavoro: “Adoro mettere insieme le cose”. Non si può tuttavia confinare il suo repertorio creativo nella sola categoria dell’assemblaggio. Figura emblematica dell’arte nel Novecento, si è distinta nel panorama artistico internazionale per la sua ricerca di un linguaggio universale. “Non so se la definizione di scultrice mi si addica. Faccio dei collage. Ricostruisco il mondo smembrato in una nuova armonia.”; quell’armonia che si respira ad esempio in alcune delle opere dell’attuale esposizione milanese, come nel monumentale “Homage to the Universe”, (1968, 900 x 90 cm), autentico esito di una cerimonia scolpita in cui ogni elemento conserva qualcosa della sua vita precedente; in “Dawn’s Host” (1959) e nella serie “End of the Day” che documentano la predilezione dell’artista per l’inizio e la fine del giorno, l’alba e il crepuscolo; oltre che nella selezione di collages, realizzati in varie dimensioni e su supporti lignei o cartacei, a dimostrazione della sua continua attenzione per l’immediatezza d’esecuzione, l’equilibrio della composizione, i piani prospettici e i rapporti cromatici. Per l’occasione è stato pubblicato un volume dedicato ai “Collages” di Louise Nevelson, edito da Skira e con un saggio di Bruno Corà. La mostra prosegue all’attiguo Studio Marconi ’65 con una selezione di collages, multipli e grafiche di dimensioni più ridotte. Alcune note biografiche. Louise Berliawsky (Kiev, 23 settembre 1899-New York, 17 aprile 1988) è stata una scultrice ucraina naturalizzata statunitense, trasferitasi negli USA fin dal 1905 con la famiglia, Dal 1920, con il marito Charles Nevelson, russo, originario di Riga e naturalizzato americano, si stabilì a New York dove studiò musica, recitazione e frequentò le gallerie d’avanguardia. Affascinata da Marcel Duchamp e da altri capofila del Dada e del Surrealismo: “Il Surrealismo era nell’arte che respiravo”, affermava ricordando gli anni del suo apprendistato.  Subì l’influenza dell’esperienza cubista di Picasso, dell’arte nativa del Nord e Centro America e, in particolar modo, dopo essere stata assistente di Diego Rivera al murale realizzato dall’artista messicano nella New York Workers School (1932). Si dedicò poi esclusivamente alla scultura, prima in terracotta (ispirandosi all’arte precolombiana, in seguito anche a studi archeologici in Messico e in America Centrale), per poi passare quasi esclusivamente al legno e in seguito, dal 1968, al plexiglas e all’acciaio. Si applicò alla scultura monumentale e agli assemblaggi, spesso utilizzando frammenti di altri manufatti (pezzi modanati, gambe di sedie e tavoli, balaustre, colonnine), elaborando una poetica che oscilla tra astrattismo e surrealismo. Considerata tra le più significative esponenti del secondo dopoguerra, ricevette importanti riconoscimenti e commissioni, tra cui “Transparent Horizon” (1975) al Massachusetts institute of technology, “Bicentennial Dawn” (1976) alla Courthouse di Filadelfia. Per i suoi ottant’anni il Whitney Museum organizzò una restrospettiva, “Atmospheres and Environments”, con installazioni dal 1955 al 1961, seguita nel 1980 da una mostra itinerante del Phoenix Art Museum, “The Fourth Dimension”. Tra i numerosi omaggi a lei dedicati ricordiamo la mostra organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con la Fondazione Marconi nell’Aprile 2013 e quella della Fondazione Puglisi Cosentino del 2014 a Catania, entrambe curate da Bruno Corà, e nello stesso anno la mostra presso la Die Galerie a Francoforte sul Meno. “Ho sempre pensato che la bidimensionalità, la superficie piana di un dipinto, fosse superiore alla scultura…La scultura, invece, è fisicamente più comprensibile.    La scultura ha sempre quattro lati, quattro realtà per l’appunto.” (Louise Nevelson, “Atmospheres and Environments”, New York 1980)Alla fine devo dire che le opere di questa grande artista sembrano nate per lo spazio ospitante che assume così l’aspetto di un grande museo internazionale.

Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea – Via Tadino 15, Milano; fino al 22 Luglio 2016; Orari: lunedì-venerdì 10-13 e 15-19, ingresso gratuito; Tel. 02 29 41 92 32; www.fondazionemarconi.org

Fabio Giuliani

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