Milano: JEAN-MARIE BAROTTE – “Nerocenere”

| 17 febbraio 2014
Barotte 2

Pittura e Poesia

“Anania palpò a lungo, con tutte e due le mani, quella cenere nera che forse era l’avanzo di qualche ricordo d’amore di sua madre; quella cenere che aveva posato lungamente sul suo petto, sentendone i palpiti più profondi. E in quell’ora memoranda della sua vita, della quale capiva di non sentire ancora tutta la solenne significazione, quel mucchiettino di cenere gli parve un simbolo del destino. Sì, tutto era cenere: la vita, la morte, l’uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell’ora suprema, vigilato dalla figura della vecchia fatale che sembrava la Morte in attesa, e davanti alla spoglia della più misera delle creature umane, che dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni era morta per il bene altrui, egli ricordò che fra la cenere cova spesso la scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita.”

 

E’ questo il brano – tratto dall’ultima sequenza del romanzo “Cenere” di Grazia Deledda – che mi torna alla mente davanti alle opere dell’artista italo-francese Jean Marie Barotte, esposte alla Fondazione Stelline di Milano che possiamo vedere in questi giorni nella mostra “Nerocenere”, un percorso che riflette sul legame tra l’arte figurativa della pittura e quella della parola, la letteratura: la parola si fa segno e diventa opera d’arte. La curatrice Chiara Gatti indaga su come questo autore sia stato in grado di coniugare colore e calligrafia, una calligrafia arcaica ‘tracciata nella polvere della materia e depositata sulla tela’. E’ proprio così che nasce la materia che si fa cenere, frutto di un processo lento e corrosivo che porta all’inevitabile distruzione e/o trasformazione di una sostanza in un’altra. Pensando al testo “Feu la cendre” del filosofo francese Jacques Derrida (tradotto, nell’edizione italiana, come “Ciò che resta del fuoco”), Barotte utilizza la scrittura poetica e filosofica come detonatore pittorico affidando all’immagine la trascrizione di ciò che è stato “dato al fuoco”, resti di una memoria, dove frammenti di parole, di nomi, di lettere affiorano come reperti, indizi o ferite. Vediamo composizioni piccole come breviari, carte e tele di repertorio o più recenti, o più ampie, spaziali come alcune installazioni ideate in funzione di questa esposizione milanese. “Fluttuando fra carte e tele in cui l’istinto astratto va di pari passo con la citazione colta, si scoprono altri legami, con l’opera letteraria di Edmond Jabes, Paul Celan, oltre al percorso spirituale di Juan de la Cruz al cui celebre poema “La noche oscura” Barotte ha dedicato un ciclo di dipinti dal retrogusto esistenziale.”  Jean Marie Barotte nasce a Milano nel 1957, dopo essersi diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi si addentra sempre più nel mondo del teatro, a cui rimane profondamente legato, in particolare per la sua esperienza come attore al fianco del grande regista e pittore Tadeusz Kantor che sarà proprio il punto di accesso alla pittura come nuovo modo di esprimersi. Un’arte vissuta come testimone della violenza necessaria per esprimere il concetto di sublime. Tra le sue personali antecedenti ricordiamo “I colori dell’estasi” nel 2007, “Tout ne tient qu’à un fil a Milano” nel 2008, “Le Voyage de l’ame” a Parigi, “La nuit obscure” a Montreuil e Migraidentità. Questa iniziativa è nata in collaborazione con l’Associazione Culturale T.Art e il patrocinio dell’Institut francais Milano, Istituzione attigua, presso la quale il 19 Febbraio alle ore 18.30 è in programma una conversazione con l’artista, presso il CineMagenta 63, una delle attività di approfondimento per offrire ulteriori possibilità di conoscenza dell’opera di Jean-Marie Barrotte. Dopo avere visitato questa mostra, ritengo che i discorsi compositivi di Barotte denotano solo apparentemente un senso di pessimismo e di “fine corsa”, di abbandono verso un destino ineluttabile, fisico e di pensiero; i segni, le linee sottili, in particolare di tonalità rossa, accostate, o sovrapposte, a campi più oscuri, possono rappresentare un significato di speranza di qualcosa che può rinascere e magari svilupparsi di nuovo.   Il catalogo bilingue (italiano e francese) è pubblicato da Silvana Editoriale

 

Fondazione Stelline – Corso Magenta 61, Milano; fino al 9 Marzo 2014

Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle 20; ingresso libero

Per informazioni: Tel. 02 45462111; sito Internet: www.stelline.it

 

Fabio Giuliani

 

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