L’esperto risponde: LE ATTRIBUZIONI DEL CONSIGLIO COMUNALE E LA COMPETENZA PER LA GESTIONE ENTI LOCALI

| 1 dicembre 2010
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Prima dell’entrata in vigore, nell’anno 1990, del nuovo ordinamento degli enti locali, approvato con la legge 142/1990 e successivamente ricompreso, con altre norme succedutesi nel decennio 1990 – 2000, nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, il consiglio comunale era competente a deliberare su quasi tutte le materie di interesse del comune, con la sola eccezione per alcune di dettaglio. Ma, poiché tale ripartizione di competenze portava spesso ad un rallentamento dell’attività amministrativa, per le evidenti difficoltà a deliberare con la necessaria speditezza da parte dell’organo consiliare, vi si ovviava con l’adozione da parte della giunta, sotto la sua responsabilità, di un grande numero di deliberazioni rientranti nella competenza consiliare, le quali dovevano poi essere portate alla ratifica del consiglio comunale, che poteva avvenire anche a distanza di molto tempo dall’adozione, in quanto la legge non fissava un termine per la stessa, a pena di decadenza.

Con questo quadro normativo, avveniva che gli ordini del giorno delle sedute consiliari contenessero lunghi elenchi di deliberazioni della giunta da ratificare e ciò portava le minoranze a protestare per l’uso eccessivo che la giunta aveva fatto del ricorso all’istituto della “assunzione dei poteri del consiglio”, mentre la risposta costante dell’esecutivo e della maggioranza, a giustificazione di tale comportamento , era monocorde e cioè che si era stati costretti ad operare in tal modo per la lentezza a deliberare dell’organo consiliare, a fronte dell’urgenza di dare rapida soluzione ai vari problemi che si erano andati manifestando tra una seduta e l’altra del consiglio. A questo riguardo, va detto che una tale situazione si registrava pressoché in tutti i comuni, indipendentemente dal colore politico della coalizione di governo.

In sostanza, si determinava una situazione simile a quella relativa alla adozione dei decreti – legge operata al Governo centrale e portati in conversione alle Camere; ma, almeno, per i decreti – legge era ed è prevista, dall’articolo 77 della Costituzione, la perdita di efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.

Con la riforma dell’ordinamento degli enti locali – legge 142/1990 e decreto legislativo 267/2000 e successive modificazioni ed integrazioni – si è posto fine alla situazione sopradescritta mediante il capovolgimento della normativa ante 1990: il consiglio è diventato “l’organo di indirizzo e controllo politico – amministrativo” e gli è stata attribuita la competenza a deliberare limitatamente ad alcuni atti fondamentali elencati nell’articolo 42 del testo unico . Per contro, la giunta in ordine a tali atti fondamentali non può più deliberare assumendo i poteri del consiglio, fatta eccezione per le sole “variazioni di bilancio”, ma, in questo caso, la relativa deliberazione va sottoposta alla ratifica del consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

L’entrata in vigore della nuova normativa è stata inizialmente accolta con favore e le è stato pure riconosciuto l’indubbio pregio di avere ben determinato le competenze, nel senso che al consiglio è stata attribuita la funzione di vero e proprio “parlamentino” dell’ente locale, chiamato a dettare la normativa statutaria e regolamentare dello stesso e ad occuparsi degli altri temi strategici per la comunità comunale, lasciando all’esecutivo (giunta) il compito di collaborare con il sindaco nel governo del comune, di occuparsi della attuazione degli indirizzi generali dettati dal consiglio e dei pochi atti di gestione non rientranti nella competenza dei dirigenti e dei responsabili dei settori, nonché dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio.

Purtroppo, nel nostro Paese, la grande parte delle persone è innovatrice in teoria, ma ben ancorata all’esistente nella pratica, tanto è che dopo non molto tempo dall’entrata in vigore delle nuove norme si è cominciato a dire che, con la riforma dell’ordinamento degli enti locali, il consiglio è entrato in una specie di “cono d’ombra” , nel senso che poche materie sono state mantenute nella sua competenza ed aumentate invece sensibilmente le competenze degli altri due organi di governo dell’ente locale : giunta e sindaco. Se un simile rilievo può avere un riscontro per il sindaco, soprattutto per ciò che riguarda il potere di ordinanza, che, per altro, si è andato accentuando solo negli ultimi tempi con le recenti disposizioni sulla sicurezza, altrettanto non si può sostenere per la giunta, che mantiene le sole attribuzioni appena più sopra richiamate. Mentre, appare difficile sostenere che le attribuzioni del consiglio comunale siano ridotte di molto avendo competenza a deliberare sulle seguenti materie: statuti dell’ente e delle aziende speciali, regolamenti, programmi, relazioni revisionali e programmatiche, piani finanziari, elenchi dei lavori pubblici, piani urbanistici, convenzioni tra enti, pubblici servizi, disciplina delle tariffe di tributi ed ora anche in tema di aliquote degli stessi, acquisti ed alienazioni di beni immobili, appalti, concessioni e contrazione di mutui che non siano già previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio, emissioni di prestiti obbligazionari. E l’elenco non è completo, in quanto in altre disposizioni di legge, sono rinvenibili materie attribuite alla competenza dell’organo consiliare. Di recente, ad esempio, con la manovra finanziaria del corrente anno (decreto – legge n. 78/2010, convertito nella legge 122/2010) la nomina del consiglio tributario, per la partecipazione dei comuni agli accertamenti fiscali e contributivi.

In ogni modo, se si può parlare di diminuzione quantitativa delle materie attribuite all’organo consiliare, del resto resa necessaria per la eliminazione delle criticità presenti con il precedente ordinamento e di cui si è detto in apertura, bisogna al tempo stesso ammettere una loro netta elevazione qualitativa, che non si può continuare a non cogliere. Purtroppo, ad ormai venti anni da detta riqualificazione, si deve constatare che non è seguita una convinta adesione al dettato normativo, nel senso che molti (troppi) amministratori preferiscono continuare ad occuparsi di problemi gestionali, a volte anche di scarso rilievo, e, comunque, non più rientranti nella loro competenza, bensì in quella dei dirigenti e dei responsabili di settore, anziché trattare con l’attenzione che meritano i temi programmatici fondamentali per l’ente ed agli stessi amministratori specificatamente assegnati dalla vigente legislazione, avendo cura di controllare che l’apparato burocratico, anche sulla scorta di indirizzi ricevuti, vi dia concreta attuazione.

Tale modus operandi è principalmente riconducibile a due motivi: 1° la cura della normativa statutaria e regolamentare, per altro, in continua evoluzione a causa della mutevole legislazione statale e regionale, l’esame dei temi attinenti allo sviluppo della comunità locale, per deliberare consapevolmente su di essi, l’esercizio del controllo politico – amministrativo relativo all’attuazione dei programmi approvati, tema di elevata rilevanza, soprattutto dopo l’avvenuta soppressione del controllo esterno sugli atti, richiedono adeguata preparazione e non approcci estemporanei e conseguentemente di non improvvisarsi amministratori, ma l’obbligo di dotarsi almeno di un bagaglio di base sull’ordinamento giuridico locale. E’ la mancata intrapresa di questo impegno che porta necessariamente a rifugiarsi in materia di più facile accesso;
2° è pur vero che l’esercizio della gestione può dare una subitanea, anche se momentanea, visibilità, cui può conseguire la sensazione di un tornaconto immediato in termini di consenso che, però, nel medio e lungo periodo si dimostra effimero, perché l’amministrare con detta modalità non contribuisce a risolvere i problemi strutturali e per di più crea confusione di ruoli e può anche ottenere il risultato di deresponsabilizzare, almeno in qualche misura, i preposti per legge alla gestione stessa.

In via conclusiva, si può sostenere che non sarà da un ampliamento delle attribuzioni del consiglio comunale che potrà scaturire un miglioramento nel funzionamento degli enti locali, dato atto che, come si è visto, le attuali materie assegnate ricomprendono già tutto ciò che è di loro fondamentale interesse. Mentre, per quanto riguarda “la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica” va escluso l’intervento diretto degli amministratori, poiché illegittimo secondo il vigente ordinamento, e deve invece essere esercitato l’ intervento indiretto sulla stessa attraverso il controllo politico – amministrativo per il costante monitoraggio dei programmi e la verifica della applicazione degli indirizzi dati ai responsabili degli uffici e dei servizi per attuarli.

Di: Esterino Caleffi

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