Desenzano: La Malintesa, storia documentata di una compagnia di poveri ma belli

| 25 giugno 2007
togazzari 1932

Nell’estate del 1938, quando Desenzano tra abitato e campagna contava 10000 abitanti, un gruppo di ragazzi dai diciotto ai vent’anni si dava appuntamento o al Porto Vecchio o alla Maratona, ancora funzionante come scalo ferroviario, per sguazzare, nuotare, tuffarsi, giocare in ogni modo con il lago.

Erano alcuni compagni di scuola, nel corso divenuto poi I.T.I.S. e Istituto Tecnico Commerciale, frequentati a Brescia in via Moretto, altri erano dei coetanei amici per diverse motivazione; ciò che li univa era soprattutto l’amore per il lago, per la voglia matta di avventura propria dei giovani, per il divertimento di allora che consisteva nello stare assieme attorno a un tavolo con poche bevande e un piatto di pastasciutta, remarecon la barca della G.I.L., scarpinare nei dintorni, tirare quattro calci a un pallone al campetto della Migola, fare biciclettate nei paesi della Valtenesi e sui Colli Storici, trascorrere insieme la domenica tirandonotte con chiacchiere e canzonette. Tanti ragazzi di Desenzano prima e dopo di loro hanno fatto le stesse cose, ma l’istituzione della Malintesa è stata documentata dal cronista e fotografo del gruppo: Stefano Avanzi, in quell’anno di diciotto anni e mezzo. Appassionato di fotografi a fin dalla adolescenza, si recava dall’amico Maceo Togazzari, si faceva prestare una macchina fotografi ca e l’anziano fotografo consegnava al ragazzo questa o quella a disposizione per prova ai clienti, poi Stefano acquistava le fotografi e che lo interessavano, in pratica quelle da lui scattate. Quindi sappiamo che la costituzione ufficiale della compagnia, formata da nove giovanotti: Giuseppe Bin, Battista Galeazzi, Oreste Sortani, Stefano Avanzi, Attilio Rizzetti, Giuseppe Turrata, Ezio Gravellone, Giuseppe Voltolini, Carlo Vischioni, avvenne il 25 settembre 1938 con una vogata a sette con la barca della G.I.L. Il 9 ottobre gli affiliati e le amiche, in genere le sorelle, con l’abito migliore i capelli inbrillantati, andarono in piroscafo a Riva.; la domenica dopo fu la volta della Rocca di Manerba, dove si fece il bagno, ci si arrampicò sulla parete e si tornò a fare il bagno. Non mancavano i litigi, data l’età alcuni ruzzavano di brutto, ma poi una partita a bocce calmava gli animi. Intanto il fotografo diventava più esperto e i giovanotti più gagà, più sofi sticatinell’inventare pose coreografi che del gruppo in abiti eleganti. Ma non erano degli scansafatiche, fecero persino in bici Desenzano-Vestone con le strade bianche di allora. Il consolidamento del gruppo avvenne con l’operazione di assemblaggiodi una rudimentale imbarcazione. Trovarono all’Idroscalo, mentre il Reparto di Alta Velocità era in fase di disfacimento, due galleggianti di idroplano, vi adattarono una plancia, innalzarono un ‘albero’, misero la vela cucita a macchina dalla madre di uno di loro ed ebbero a disposizione un personale catamarano: si fa per dire. Era la Freccia.. Comunque la ‘barca’ teneva e Ezio, Fanino, Battista,Attilio, Oreste, Beppe e Peppo a remi fecero il 29 luglio del 1939 la traversata verso Sirmione. Arrivarono senza incidenti alla meta e con orgoglio fecero le foto di rito. Sarà a poco a poco migliorata l’imbarcazione fi no a diventare una barca seria. Le ragazze del loro giro erano ammirate e si prestavano a fare ‘colore’ con la loro presenza e il cicaleccio incessante sulla spiaggia con catamarano in primo piano. Purtroppo insieme alle ultime gite di settembre arriva la cartolina precetto per Peppo, richiamato alle armi. Attilio Rizzetti fa il suo primo quadro ispirato alla Malintesa che racchiude i volti di ciascuno dei ‘soci’. Per il Carnevale del 1940 riescono ancora tutti insieme a travestirsi da personaggi storici della Francia del ‘600, partecipando alle feste dell’oratorio parrocchiale, ma anche riunendosi sempre con quei costumi nella casa ospitale di Battista Galeazzi in via Castello. Malgrado chi è rimasto a Desenzano continui a proporre le imprese sportive e conviviali i sette della Malintesa schierati sulla Freccia durante una gita a Sirmione nel luglio1939 degli anni precedenti, l’atmosfera è cambiata. L’Italia in stato di guerra, la pesante campagna pubblica per la partecipazione al confl itto fanno ormai da scenario alla vita quotidiana. Da nove i rematori del catamarano sono diventati cinque e anche questi attendono di giorno in giorno la chiamata alle armi. Forse per questo il quintetto (Giuseppe, Stefano, Attilio, Oreste, Battista) persegue imprese sempre più impegnative decidendo ad esempio di salire sul Monte Baldo fi no a quota 2000, prendendosi più giorni di tempo per l’avventura.. E’ questa una escursione magnifi ca con l’apertura di paesaggi mozzafi ato a ogni chilometro guadagnato, incontrano una mandria al pascolo, dormono in una stalla per porci. Al ritorno sentono la notizia dell’incidente e della morte di Italo Balbo in Libia. In settembre riprovano una nuova escursione sul Pizzocolo questa volta forniti di rudimentale tenda, ma senza il successo della precedente ‘arrampicata’. Nel 1941, il 16 marzo, un aeroplano italiano finisce nelle acque del porto di Desenzano e Stefano con due amici segue le fasi del recupero. Per la nuova stagione estiva il catamarano è rimesso a nuovo e perfezionato anche con l’aiuto di Ettore Galeazzi, padre di Battista, sempre disponibile come sua moglie Maria, verso gli amici del fi glio, ma ora i rematori sono tre e ben presto diventeranno due. Gli altri allegri compagni della voga sul catamarano sono dispersi nei vari fronti di guerra o nelle caserme per l’addestramento. Arrivano cartoline dall’Albania da parte di Mario Brignami, un amico, che contrappone alle note avventure dei Malintesiani rimasti sul Garda le proprie giornate al campo, ma senza ombra di cattiveria o di invidia. Poi è la volta delle missive di Beppe, di Peppo, di Attilio dal fronte russo. A partire dal gennaio 1943 tutti fanno parte dell’esercito: Giuseppe Voltolini sta in una caserma del genio a Parma poi disperso in Albania; Carlo Vischioni, ferito nella campagna di Russia, è stato fatto rientrare al Centro Mutilati di Milano; Ezio Gravellone è di stanza a Gorizia, mentre a Pola sta Battista Galeazzi in marina; Oreste Sortani è in caserma a Brescia. Giuseppe Turrata lavora come aviere militarizzato alla Caproni di Bergamo; Stefano Avanzi fa addestramento a Moncalieri per l’artiglieria; Attilio Rizzetti nell’aviazione nel fronte del Don oltre il freddo patisce una fame tremenda lenita appena da un vasetto di miele inviatogli dalla madre. Gli incontri durante il 1943 e il 1944 sono sporadici e vedono la presenza durante grandi festività di due o tre sodali, per caso in breve licenza conntemporaneamente. Cercano di ricreare lo spirito di una volta, ma rimangono presenti anche nella forzata allegria dello stare assieme le battaglie contro pidocchi, pulci, fame e tutte le difficoltà di soldati di un esercito in stato di guerra. Giuseppe Bin scompare dall’universo della Malintesa, sostituito da
un affezionato Mario Brignami, desideroso nelle sue lettere di avere notizie della compagnia. Alla fi ne del 1943 Attilio Rizzetti, rientrato dal fronte russo fa un nuovo complicato e spiritoso disegno che raccoglie foto tessera e caricature dei Malintesiani con dovizia di particolari sullo sfondo a signifi care gli amori del gruppo: Desenzano, le ragazze, la barca. Il 1944 si dimostra l’anno più amaro, a parte l’impresa di costruire una nuova imbarcazione: la Malin, in sostituzione della Freccia. Erano stati comperati due galleggianti a Ghedi, ma uno era risultato più grande dell’altro. Dopo quattro mesi di messa in opera da parte dei soci via via presenti a Desenzano, la nuova imbarcazione, sempre tipo catamarano, era stata varata felicemente. Ai soci pareva: leggera, veloce, grande, immensa, incommensurabile. Si festeggia in cinque a base di pastasciutta, sardine fresche e vino. Poi si deve tornare ai propri doveri. In una domenica di maggio si ritrovano Carlo, Attilio, Fanino, Battista: la malinconia è tanta. Per scacciarla i quattro amici decidono di cenare insieme e Carlo offre ospitalità a casa sua. A disposizione ci sono 2 chilogrammi di pasta e 6 litri di vino. Nella pentola la pasta era sembrata tanta, ma almomento dell’imbandigione risulta pochissima e altro non c’è. Affamati ancora, finirono la nottata lungo il viale della stazione facendo versacci, cantando canzonette con due ragazze incontrate per caso. Però la domenica rimase grigia ugualmente con quel tirare notte senza costrutto. Il tempo per godere del superbo Malin dalla vela bianca scorre molto velocemente, troppo rapido, infatti il 15 luglio 1944 avviene un bombardamento terribile al viadotto e una delle vittime è il caro amico e socio Carlo Vischioni. Battista Galeazzi, arrivato per primo sul posto, con cautela dettata dall’affetto lo pulisce, lo spoglia e lo ricompone per la bara. Impedisce che la madre e la sorella vedano il corpo, perché dilaniato dalla bomba, lo stesso viso è deturpato. Bepi, Fannino, Battista e Dario portano durante il funeraleil feretro a spalle indossando la divisa di ufficiali. Attilio e Oreste reggono la corona di fiori segno modesto del cordoglio per la famiglia. E la guerra non fi nisce più. Occorre ancora combattere con la carta annonaria e ogni tentativo di ritornare a seppur brevi scampagnate di un tempo per spezzare la cappa di tristezza incombente incontra grandi ostacoli. Un colpo ben assestato a morte, povertà e tristezza lo diede Attilio Rizzetti preparando la festa di fi ne anno-capodanno 1944-1945. In una stanza vuota, messa gentilmente a disposizione per i ragazzi da Maria ed Ettore Galeazzi nella loro casa- offi cina di via Castello, per ricoprire le nude pareti, Attilio predispose tre teloni con dipinta una balaustrata di marmo riecheggiante la loggia di un Palazzo Ducale, oltre la quale si aprivano paesaggi del lago di Garda e non era stato dimenticato il Malin con la bianca vela. Dominavano appese le caricature pulite ed espressive dei cinque presenti della Malintesa, fatte con la matita e sfumate a matita su foglio A4.. Quindi sorridevano con i loro tratti fi sici caratteristici: Battista, Attilio, Fanino, Bepi, Peppo. Sul quarto telone, il centrale, Attilio Rizzetti aveva dipinto un grande camino di marmo dove nella fi amma bruciava una formosa dama nuda. Nella stanza non c’era altro a parte qualche sedia e qualche fi asco di vino posto su un suntuoso buffet ricoperto da due teli bianchi. La nottata trascorse tranquilla e cordiale mentre i cinque della Malintesa con le amiche e qualche conoscente chiacchieravano ponendo ogni sforzo nel dimenticare tutto fuorché la loro amicizia. Finalmente in aprile la guerra finì.

Di: Amelia e Pia Dusi

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