DESENZANO, GOLDONI & PISTOLE

| 1 aprile 1993
Carlo Goldoni

Dell’avventura di un viaggiatore e dell’inflazione dei centenari

Appena spentesi le luci della ribalta sulle opere di Gioacchino Rossini, che insieme alla scoperta dell’America ha tenuto banco nel 1992 (mentre a livello locale è passato assolutamente sotto silenzio il secondo centenario del ginnasio-liceo Bagatta); celebrazioni che seguivano a ruota quelle di W.A. Mozart (1991); localmente quelle di Angela Merici (1990); la Rivoluzione francese (1989), a cui si affiancò la celebrazione del IV centenario del duomo di Desenzano. In attesa, senza troppo entusiasmo, dell’ anno di G.P.L. da Palestrina (1994) l’attenzione per questo 1993 si concentra sul teatro di Carlo Goldoni (Venezia 1707 – Parigi 1793). E qui lo ricordiamo per un fatterello occorsogli nella nostra città, quando per fortuna era ancora un paese, e che egli ricordò sempre ed annotò nelle sue memorie in due diverse edizioni: nel 1761 nella prefazione ai diciassette tomi delle sue opere e nel 1787 nelle sue “Memoires” pubblicate in francese a Parigi. Ma veniamo al fatto: Settembre 1724. Carlo Goldoni parte da Chioggia per recarsi a Pavia ed anzichè prendere la via di Modena il padre lo accompagna a Padova e da lì, con un vetturino fidato, lo spedisce a Milano. “Tutti quelli che hanno fatto quel viaggio andando e venendo da Milano, -annota- sanno quanto me che tutti si fermano a Desenzano, che vi è una buonissima osteria sul Lago di Garda, e dove si suol mangiare del pesce esquisito, e dove si tratta bene e a poco prezzo.” (Bei tempi!) Durante il tragitto il giovane aveva avuto modo di conoscere una signora “Che -disse- non mi parve il diavolo” e con la quale allacciò una certa qual confidenza. Ma giunti a Desenzano, all’albergo della Posta Vecchia (che fu poi Albergo Trento in piazza Feltrinelli) con un lato direttamente prospiciente la spiaggia (il lungolago arriverà solo nel 1937) il Goldoni ricorda: “Eranvi in quella sera colà alloggiati moltissimi passeggeri, ed io e la mia compagna di viaggio non potemmo avere che una sola camera con due letti, che furono religiosamente occupati uno per ciascheduno. Dormiva io saporitamente, quando tutto in un tempo mi risvegliarono alcune voci sì forti e sì riscaldate che mi obbligarono nel momento medesimo a balzare dal letto come era”. Al chiaro della luna che entrava dalla finestra senza imposte il giovane impaurito vide la sua compagna che, impugnata una pistola, minacciava un uomo entrato furtivamente nella stanza. “Egli è un ladro che venia per assassinarci -spiegò la dama- Ah no, gridò colui in ginocchioni, non sono un ladro, non son qui venuto con quest’indegna intenzione: confesso la verità, ho arrischiato tutto per profittare di una bella donna…Come! esclamò la mia brava eroina, un villano che puzza di cucina e di stalla, può concepire sopra di me un tal disegno ? Alzò la pistola così dicendo, più offesa forse di tale progetto che dell’immagine di un assassinio”. Il trambusto svegliò tutti gli ospiti, e l’oste, accorso con tre camerieri ed un lume. “Conobbero il temerario per un garzone di stalla, capace di essersi introdotto egualmente, e per la donna e per i denari. So bene ch’ebbi la mia parte di paura, ch’io ringraziai la mia valorosa compagna e che passammo il resto della notte tranquillamente”. Questa una sintesi del racconto secondo la prima versione. Nelle “Memoires” il Goldoni, ormai ottantenne, stende sul racconto un velo di pudicizia assicurando che i discorsi fatti con la compagna di viaggio erano cordiali, ma molto decenti, che essa non era una vestale ed aveva “le ton de la bonne compagnie” e che a parte la notte trascorsa a Desenzano, le altre le avevano trascorse in camere separate “avec la plus grande régularité“. Carlo Goldoni sostò ancora alla posta vecchia nel 1732 ed un’ultima volta nel 1734, quando, ricordando con l’oste il fatto occorsogli otto anni prima, seppe che il garzone di quella notte, avendo compiuto altri misfatti era stato da poco impiccato a Brescia.

Giuseppe Tosi

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