Desenzano del Garda (BS) IL PROFESSORE

| 1 dicembre 2005
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Il professore fin dal 1946 insegnava latino e greco al Liceo classico ‘Bagatta’ di Desenzano, quando ancora nell’Istituto vi era appena una sezione di studenti e le aule occupavano solo l’ultimo piano dell’edificio.

Non si pensava a sperimentazioni, quindi l’orario delle lezioni era sempre uguale da ottobre a giugno. Regolarmente a giorni alterni il professore proponeva lo studio di testi d’autore e la presentazione della storia della letteratura. Nel primo caso durante una lezione guidava la classe all’analisi di tre, al massimo di sei versi se poesia o di sei righe se prosa. Con voce pacata, senza forzature di toni, faceva osservare la costruzione linguistica di una frase semplice e inframmettendo rapide domande di grammatica a questo a quello studente spiegava perché un verbo aveva quella forma, con quale sostantivo era legato, la ragione di quell’aggettivo. Era l’analisi dei vari tasselli che combaciando originavano una frase significativa. Sembrerebbe un esame arido e questo lo era per gran parte degli studenti, attenti ad assimilare le particolarità grammaticali, attorno alle quali ci sarebbero state le successive interrogazioni o la prossima prova scritta. I ragazzi erano molto tesi a ottenere il voto positivo per molte ragioni personali, non solo per un promettente successo scolastico. Così spesse volte la consapevole attenzione si fermava a quel livello di ascolto. Il professore però parlando di un aggettivo sapeva suscitare immagini spettacolari che fluttuavano tornite e leggere nell’aula. Ecco che pareva di vedere la spuma bianca del mare blu rifrangersi attorno agli scogli di roccia dorata, vicino all’improvviso s’innalzava il dio Nettuno sul carro trainato da splendidi cavalli; gli si poteva scorgere il volto irritato mentre agitava il tridente con gesto maestoso. Un’altra volta erano invece Ulisse e Diomede che con occhi foschi guardavano i nemici troiani escogitando il loro ennesimo imbroglio. Soprattutto dall’analisi di testi di teatro si innalzavano figure di un’umanità sorprendente come Edipo, il re che porta su di sé il peso di una grave colpa e cerca con fatica la strada verso una serenità impossibile; altro personaggio significativo era Antigone la figura femminile che oltrepassa il vincolo della legge con la pietà; e poi c’era la tragica Medea così aggrovigliata nel lacerante dolore. Ma non mancavano protagonisti di avventure avvincenti come Senofonte con quel suo camminare e combattere per terre sconosciute, sopraffatto coi compagni dalla fatica di soldato lontano dalla patria, fino all’arrivo al mare, promessa di una ritrovata casa. Queste e altre immagini è riuscito a innalzare dalla pagina del testo antico quel professore, esse sono entrate nel pensiero dei suoi alunni molte volte in modo inconsapevole. Al momento all’insegnante erano grati per l’atteggiamento equilibrato, un po’ distaccato ma sempre garante di rispetto e di misura, per cui qualsiasi votazione appariva seriamente motivata. Poi gli studenti uscivano dal Liceo con l’esame di maturità e si avviavano verso professioni diversissime; molto pochi hanno coltivato la cultura classica. Quasi tutti hanno dimenticato il greco, però quelle immagini sono rimaste nella mente, veicolo di un’ umanità a cui aspirare e con cui consolarsi. Dopo quarant’anni di scuola l’insegnante ha lasciato la professione attiva e si è impegnato a concludere gli amati studi di linguistica sempre approfonditi di sera o di notte nel piccolo studio fasciato di libri. Insaziabile nella ricerca di corrispondenze tra lingue lontane, ha accostato grammatiche di culture diverse, mai stanco di confrontare le proprie intuizioni con i saggi degli studiosi del settore. Il professore è convinto che valga la pena inseguire i segni del continuo mutarsi della saggezza umana con tutti i limiti e i passi falsi; trovare nei discorsi, nell’esprimersi degli uomini il superamento di mentalità che hanno fatto il loro tempo caratterizzando periodi pieni di malvagità. Ma nel dialogo informale con le persone che gli stanno accanto o con gli ex studenti il suo dire è diventato più arguto e variegato. Anche ai tempi della scuola a volte diceva brevi frasi in dialetto, ora questo ricorrere a un linguaggio familiare e scanzonato è più frequente. Ama ritornare ai ricordi della sua infanzia e della bassa pianura bresciana del primo novecento, dove si faceva la fame e si viveva con pazienza quello che la giornata portava, sempre pronti a ricominciare dopo ogni avversità. Il padre maestro attraverso le sue parole ancora fa sacrosante raccomandazioni ai figli, la madre casalinga si affaccenda trafelata nella corte della casa di Remedello, la zia ringrazia per quello, molto poco, che ha mangiato. Sono vivi in lui pure l’esperienza dura della vita in collegio presso i severi e apocalittici gesuiti preconcilio, l’università a Pavia e il soggiorno per motivi di studi nella Germania hitleriana, quindi la guerra, i tanti incontri di persone sagge o ignoranti, orgogliose o umili, sempre dignitose. Non sono mancati periodi di angoscia. Ora che deve restare in casa per i postumi di una frattura al femore, con vivezza e con ironia esprime le proprie opinioni, i malumori e le delusioni. La debolezza fisica lo ha reso più spontaneo; cercando di ridere di se stesso, affronta i malesseri e le fragilità del suo corpo. E le parole vanno vanno seguendo voli pindarici di fatto in fatto, di considerazione in considerazione, sempre espressione di grande umanità. Questo professore novantaduenne è Mario Marcolini.

Di: Amelia Dusi

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