2003, Bart Van Oort: PRIMA LE PAROLE, POI LA MUSICA

| 1 dicembre 2003
20071023vanoort

Dipende incontra Bart Van Oort

Zazzerina arruffata, camicia di lino, un fiume di parole, un diluvio di musica. Bart Van Oort, fortista olandese non è il solito musicologo praticone dedito alla musica antica perché fa tendenza, ma è artista completo, tanto preparato sul versante teorico quanto agguerrito e sensibile su quello esecutivo. Ha studiato in Olanda, Belgio, Stati Uniti (con Malcom Bilson) e da allora è partito per una serie infinita di tournée, incisioni, attività musicali, corsi e concorsi, masterclasses. L’elenco è impressionante, come la sicurezza e la precisione con le quali cita trattati antichi e testimonianze d’epoca. Impossibile entrare nel merito, pena la trasformazione dell’intervista in una fitto saggio per specialisti. Ci cimentiamo ugualmente nella difficile traduzione stilistica (in queste operazioni Bart van Oort è davvero un campione).
Quali novità o differenti prospettive lei ha scoperto, con l’uso del fortepiano, in Mozart e nel periodo classico?
La musica è un linguaggio e come tale possiede una sua pronuncia: flessibile, variabile da luogo a luogo, da nazione a nazione, mutevole, piena di sfumature. Con l’uso del fortepiano intendo ricreare quella particolare pronuncia: viennese, databile intorno alla seconda metà del Settecento; voglio rievocare quella sonorità, quel gioco di echi, di rime, quella precisa atmosfera. Usando il pianoforte moderno noi effettuiamo una traduzione di una traduzione e il risultato sarà inevitabilmente molto lontano dall’originale: certamente sarà una lingua diversa. Nella musica del periodo classico cambia il tocco pianistico, muta l’uso del legato, esiste un particolare modo di fraseggiare teorizzato, spiegato e realizzato da Hummel, da Clementi, e già affrontato da C.P. E. Bach. Indagato perfino da Schubert e Beethoven (si analizzino le loro opere pianistiche, al riguardo). L’interprete deve tenerne conto. Niente a che vedere con l’enfasi retorica dei pianisti otto/novecenteschi, con il loro uso del pedale. I teorici classici parlano della chiarezza come della qualità più importante ed essenziale dell’esecutore. Il fortepiano può aiutare, in tale senso, più del moderno pianoforte.
Ma il fortepiano è uno strumento completo, con una sua identità, oppure è uno strumento intermedio, un punto di partenza che porterà al pianforte grancoda?
Questa è una domanda trabocchetto. Non possiamo eseguire la musica del periodo dei Lumi senza perseguire ideali di logica, chiarezza, intelligibilità, anche di sorpresa. “Ciò che non si capisce, non può toccare il cuore”, scrivevano in quel tempo.
La libertà, la freschezza, la pronuncia idiomatica del fortepiano sono traducibili sul nostro pianoforte?
Non credo. Solo il fortepiano restituisce una maniera di articolare il suono, che nessuno strumento moderno può fare. Libera la nota dal suo alone, dal suo contorno disturbante, la purifica, la stacca dalle seguenti. Solo ciò può aiutare ad andare in direzione di una totale chiarezza, come occorre fare per quella musica affinché essa diventi credibile. E il fortepiano, in questo lavoro, è un aiuto insostituibile. La sua meccanica, la sua sonorità, la maniera di produzione del suono, sono unici. Quando i Quartetti di Haydn sono descritti come “conversazione fra uomini colti”, si allude anche a questo tipo di suono.
Se Mozart avesse avuto la possibilità di suonare uno Steinway, al posto dei suoi strumenti, cosa avrebbe scelto?
Non avrebbe certo potuto (o voluto) suonare melodie alla Puccini, alla Wagner, alla Rubinstein.
Può descriverci la ricchezza timbrica e armonica del fortepiano?
Il suo suono è netto, pulito, molto consonante, permette uno staccato ottenibile senza alcuno sforzo (come invece richiede il moderno piano). Il tasto risponde immediatamente al tocco, in maniera più diretta. Il tono, il sound, del fortepiano possiede dolcezza, non mescola i suoni, è ricco e asciutto al tempo stesso. La vibrazione della nota è corta e incisiva, con picchi immediati e di grande impatto. E’ uno strumento che può cantare, perché – prima – sa parlare! Per fare un semplice esempio, le figure di accompagnamento diventano davvero sfondo, prospettiva, senza alcuno sforzo, con assoluta naturalezza, con un naturale bilanciamento. Il tempo, il colore, l’accentuazione, la libertà ritmica, nascono con sincerità, semplicità, verità.

 

Di: Enrico Raggi

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