1877. Thomas Edison consegna alla storia il primo fonografo

| 14 luglio 2015
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Non sa che il francese Charles Cros l’ha già progettato l’anno precedente, ma senza riuscire a costruirlo. Diciassette anni prima dell’invenzione di Edison, il tipografo Éduard-Léon Scott de Martinville è stato in grado di registrare dieci secondi audio (la canzone popolare «Au clair de la lune»). Ha usato un corno attaccato a uno stilo che incide le onde sonore su fogli di carta anneriti dal fumo di una lampada a olio. Purtroppo con questa tecnica non si può riascoltare. Il congegno di Edison diffonde la musica ovunque, eppure lui non se ne cura, totalmente assorbito da telegrafi, lampadine e sedie elettriche. Vienna, 1946. La musica risorge dalla guerra e il produttore Walter Legge coinvolge un giovane Karajan in registrazioni che faranno epoca; la benzina per i generatori scarseggia: Legge dovrà procurarsela tra i taxi della città, aspirandola con un tubo. Anni ’60. La tecnologia dilaga in sala d’incisione; Glenn Gould, insofferente all’esibizione dal vivo, elegge il disco a modello di una nuova estetica. Anni ’80. Il digitale manda in pensione il vinile; tuttavia, dopo un po’, ci si accorge che l’LP suona molto meglio del cd. Oggi, mentre la musica si consuma via internet, le navicelle Voyager lanciate nel 1977 navigano nello spazio interstellare con a bordo il V. Golden Record, un disco contenente musiche di Bach, Mozart, Beethoven, Stravinsky e un blues di Louis Armstrong. Sono alcune tappe del libro di Roberto Diem Tigani, «Custodi del suono. Un secolo e mezzo di storia della riproduzione sonora», uscito presso Zecchini editore. Una storia entusiasmante, a tratti quasi eccitante: quale il momento cruciale? «Credo si tratti del decennio iniziato negli anni Sessanta – risponde Diem Tigani, direttore d’orchestra e docente di Storia della registrazione discografica e analisi dei documenti sonori al Conservatorio «Respighi» di Latina – quando l’enorme balzo di qualità dovuto all’esordio della stereofonia e alla diffusione di massa dell’Alta Fedeltà cambiarono il modo di ascoltare musica, condizionando non poco anche i criteri di programmazione delle stesse stagioni concertistiche. Non a caso in quel decennio Gould si concesse il lusso di abbandonare il palcoscenico, per dedicarsi solo al disco. Decisione impensabile in altre epoche e resa possibile proprio in virtù delle mutate abitudini sociali d’ascolto». E’ vero che il downloading di musica dal web sta uccidendo il disco? «No, sembra ancora lontano il tramonto definitivo, in barba al “de profundis” intonato almeno da una decina d’anni. Klaus Heymann, fondatore dell’etichetta Naxos, ha calcolato che un considerevole segmento di mercato non intende affatto rinunciare al cd. A differenza di un patito del rock, poi, è difficile che un appassionato di classica possa sentirsi a suo agio ascoltando in Mp3 la Settima di Mahler attraverso gli auricolari del telefonino di ultimo grido. Il download dilaga soprattutto tra chi consuma musica commerciale». Quali prospettive future? «I possibili scenari contemplano anche l’ipotesi che l’attuale (in)civiltà del rumore si traduca in una sorta di “medioevo prossimo venturo”, nel quale la musica “alta” sarà circoscritta nel confine dorato di certe nicchie, come le miniature carolingie dei secoli VIII e IX, che sopravvissero nei monasteri tramandando ai posteri il sapere antico».

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